Quando ero ragazzo giocavo a calcio. Adoravo portare la palla, e dribblare. L’allenatore, che all’epoca non si chiamava ancora Couch, o Mister, ma Giovanni, una volta mi spiegò che, per quanto io ce l’avessi messa tutta, la palla sarebbe sempre stata  più veloce di me. E che avrei faticato di meno, e ottenuto di più, liberandomene.  E fermandomi a respirare.
Sarà per il loro passato di calciatori, o il loro presente di galeotti, che molti nevrotici entrano nel campo relazionale ostinandosi a portare la palla.
E che in molte relazioni cosiddette d’oggetto, l’oggetto altro non è che una palla al piede.

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