Nov
20
Figli del comandamento
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Agnus dei qui tollis peccata mundi. Erroneamente tradotto con “Agnello di Dio che togli i peccati del mondo”. L’accezione di tollis psicologicamente più corretta è “che ti fai carico, che ti addossi, che prendi su di te”. Agnello di Dio che assumi su di te i peccati del mondo.
Il rito ebraico del Bar Mitzvah (tredici anni e un giorno per i maschi, dodici anni e un giorno per le femmine) segna il passaggio dei bambini da una fase della vita in cui i loro peccati appartengono ai genitori ad una nuova età, in cui i giovani figli divengono responsabili di sé stessi di fronte alla comunità, e al mondo.
Azul ha iniziato l’analisi alcuni anni fa, e per anni ha tentato di assumere su di sé i peccati dell’analista. Abbiamo stabilito che non ha potuto godere di un’infanzia senza peccato. Che è nato tredicenne. E non si è limitato a divenire responsabile di sé stesso di fronte al mondo; ha preteso, perché ambizioso e pieno di sé -pieno del proprio vuoto- di essere responsabile dei peccati del padre, della madre, della zia e della sorella.
Come Cristo nell’orto degli ulivi alcuni figli, e così Azul, si ritirano nel proprio spazio interiore a meditare e sudare sangue, assumedo su di sé le colpe, i peccati e le nevrosi dei propri genitori. E tavolta degli zii, dei prozii e dei bisnonni. Accettando la passione e progettando la propria crocefissione.
Il figlio che giunge come Messia e salvatore della famiglia, che transita per il Getsèmani e si avvia alla croce ha un giorno un gesto di ribellione. Decide di essere lui a scegliere chi lo cura, e accetta di spostarsi in una città lontana.
Ci siamo impegnati silenziosamente anni fa, decidendo di lavorare insieme e guardandoci con durezza, a festeggiare un giorno un Bar Mitzvah con regole nuove. Un Bar Mitzvah che segnerà la data in cui Azul accetterà di assumersi le proprie responsabilità, ma solo le sue, e non le mie o quelle di chiunque altro. E forse potrà tollerare di essere espropriato del diritto che si è arrogato da bambino di pretendersi genitore dei genitori, peccatore in-vece dei genitori, capro espiatorio delle colpe dei genitori, salvatore dei genitori, agnello di Dio che “assume su di sé i peccati del mondo”.
E viene un giorno in cui Azul, perfino, si permette di dire ai genitori perché non morite?
E a me sembra che la lunga notte stia lasciando il posto ad una nuova musica. Azul non ritiene più che le proprie parole provochino miracoli. Azul è disposto ad assumersi le proprie umane responsabilità, e chiedendo ai propri genitori di fare altrettanto si dimostra disposto ad operare una distinzione e una separazione: a Dio ciò che è di Dio, a Cesare quello che appartiene a Cesare.
Ed è un nuovo volto di Cristo quello che si affaccia lentamente sullo sfondo. Il volto del Cristo che si è fatto uomo e ha indicato la soglia terrena della morte simbolica, che è preludio della rinascita. Non è necessario passar a miglior vita per avere una vita migliore. Ma non è possibile andare incontro al mattino se non entrando voluttuosamente nel proprio pomeriggio e attraversando, sia pure temendo e tremando, la propria notte di passione. Le idee antiche di Cristo e di Nietzsche sulla resurrezione possibile. Qui, ora, sulla terra.
« Dio è morto. Dio resta morto. E noi l’abbiamo ucciso. Come potremmo sentirci a posto, noi assassini di tutti gli assassini? Nulla esisteva di più sacro e grande in tutto il mondo, ed ora è sanguinante sotto le nostre ginocchia: chi ci ripulirà dal sangue? Che acqua useremo per lavarci? Che festività di perdono, che sacro gioco dovremo inventarci? Non è forse la grandezza di questa morte troppo grande per noi? Non dovremmo forse diventare divinità semplicemente per esserne degni? »