Cristina Zanella

Il Blog di Psicologia

FOBIE

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Il DSM IV-TR definisce la fobia come una paura marcata e persistente di un oggetto o di una situazione particolare, paura decisamente sproporzionata al pericolo che tale oggetto – o situazione – può comportare. Il soggetto riconosce che la paura è eccesiva, e tuttavia è disposto a fare notevoli sforzi pur di evitare ciò che la provoca.
I sintomi sono talmente intensi da causare disagio o interferire con le normali attività sociali e lavorative della persona.
Fobia” viene dal greco phóbos phobia, ” paura istintiva, ripugnanza”. La paura si distingue dall’ansia, in quanto quest’ultima è definita come il senso di apprensione che si prova nel prevedere un certo problema, mentre la paura è una reazione a un pericolo immediato. Si deve sottolineare questo dato di “immediatezza” tipico della paura, in contrasto con l’aspetto della “previsione” che caratterizza l’ansia – ovvero la paura riguarda tendenzialmente una minaccia presente, mentre l’ansia tende a riguardare una minaccia futura.

Aspetti descrittivi

La fobia costituisce anche un “costrutto” psichico per certi versi ancora misterioso – come sosteneva Freud – la cui sistemazione meta psicologica appare difficile e dà tuttora luogo a controversie. Le difficoltà quindi non riguardano tanto il riconoscimento clinico di una fobia, ma nel tentativo di costruire una teoria o una eziopatogenesi coerente.
Freud (1894) distingue inizialmente due gruppi di fobie: quelle “comuni”, che esagerano le paure abituali (ad esempio quelle della notte, della solitudine, della morte …), e quelle “contingenti”, non abituali (ad esempio la claustrofobia), “paura di condizioni speciali che non ispirano alcun timore all’uomo sano” (p.145), nelle quali subentrano meccanismi più complessi.

Freud ritorna ad occuparsi di fobie nel 1908, con il caso del piccolo Hans, e qualche anno dopo, nel 1914, con quello dell’uomo dei lupi. Egli osserva che le fobie non dovevano essere considerate un processo patologico indipendente, ma delle “sindromi” facenti parte delle più svariate forme di nevrosi. Nasce così la descrizione fobica nell’ambito delle nevrosi d’angoscia, denominata “isteria d’angoscia”. Freud riconosce un meccanismo di organizzazione sintomatico dell’angoscia simile a quello dell’isteria.
L’ambiente circostante l’oggetto fobico è, nella sua interezza, particolarmente atto a suscitare angoscia – definita in seguito come “segnale” (Freud, 1915-1917, p. 547) che funge da avvertimento del pericolo. Essa si produce anche in assenza dell’oggetto fobico, suscitando di conseguenza manovre precauzionali, in grado di tutelare il soggetto fobico dalle percezioni, ma non dalle eccitazioni pulsionali.

Nel 1925 in Inibizione, sintomo e angoscia Freud riformula la distinzione fra angoscia reale (o realistica) e angoscia nevrotica. “Il pericolo reale è un pericolo che conosciamo, l’angoscia reale è angoscia di fronte a questo pericolo. L’angoscia nevrotica è angoscia di fronte a un pericolo che non conosciamo” (p.311). Questa distinzione diede luogo alla nozione di “angoscia come segnale”. Dall’angoscia come segnale può scaturire la gestione della situazione fobica, attraverso la fuga o la conciliazione difensiva da parte dell’Io.

L’angoscia nevrotica può seguire tre strade:
a) rimanere come angoscia libera e dar luogo a uno stato di “aspettativa angosciosa” (nevrosi d’angoscia),
b) legarsi a certi contenuti rappresentativi,
c) dare luogo a gravi nevrosi come l’isteria, in cui non appare la relazione con una causa esterna.

Freud considerava l’Io come sede unica dell’angoscia, sia a livello produttivo (angoscia come segnale) sia a livello esperienziale. “E invero non sapremo che senso avrebbe parlare di “un angoscia dell’Es” o attribuire al Super-Io la facoltà di impaurirsi. Per contro abbiamo accolto come auspicata corrispondenza che le tre principali forme di angoscia- l’angoscia reale, l’angoscia nevrotica e quella morale- possano essere messe in relazione senza sforzo con le tre forme di dipendenza dell’Io: dal mondo esterno, dall’Es e dal Super-io” (p.195). A questo punto Freud sostiene che non è più la rimozione che provoca l’angoscia (intesa come angoscia di castrazione), ma bensì sarebbe l’angoscia a provocare la rimozione (l’angoscia come segnale che nasce dal conflitto interno all’Io).

Fobie, forme cliniche delle fobie
Nel dsm IV le fobie vengono divise in fobie specifiche e fobie sociali

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Training Autogeno

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Training Autogeno Cristina Zanella

Che cos’è il Training Autogeno?

Il training Autogeno è definito da J.H.Schultz, il suo creatore, come “metodo di autodistensione psichica passiva che consente di modificare situazioni psichiche e somatiche”. Pertanto chi esegue il training deve assumere, secondo le indicazioni di Schultz, un atteggiamento di disponibilità recettiva nei confronti della propria corporeità, mantenendosi passivo spettatore di se stesso. Il Training Autogeno si articola in due fasi: la prima comprende gli esercizi orientati verso il corpo e costituisce il cosiddetto “ciclo inferiore”; la seconda comprende gli esercizi orientati verso lo spirito e costituisce il “ciclo superiore”.
La regola del training autogeno consiste nell’avere una buona disponibilità verso di sé.
Un soggetto ben allenato, mediante la concentrazione passiva, riesce ad immergersi in uno stato di totale introspezione, così da annullare stimoli esterni e fenomeni mentali disturbanti.
Il Training Autogeno è una tecnica di rilassamento effettuata individualmente o in gruppo che consente di realizzare spontanee modificazioni psico-fisiche inducendo alla calma e ad una maggiore capacità di autodistensione.

Dove agisce il T.A?

Il T.A  influenza positivamente varie funzioni dipendenti dal sistema nervoso vegetativo quali la respirazione, la circolazione del sangue, il metabolismo.
Permette di attenuare lo stress, l’ansia e somatizzazioni.
Il T.A. propone il rovesciamento di alcuni valori che il nostro sistema sociale considera positivi: “l’attività” e la “tensione”. Proponendo “la liberazione dal condizionamento esterno” la “sosta” e “la riflessione”. Read the rest of this entry »

I disturbi d’ansia: che cosa sono, come si curano

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I disturbi d’ansia

La categoria dei disturbi d’ansia  comprende una varietà di disturbi diversi fra loro. Per molto tempo questi disturbi sono stati considerati, nella scia delle concettualizzazioni freudiane, forme di nevrosi. Questi disturbi vennero concettualizzati grazie al lavoro clinico svolto da Sigmund Freud sui suoi pazienti; di conseguenza, la categoria diagnostica delle nevrosi finì per essere inestricabilmente connessa con la teoria psicanalitica.
Con il passare del tempo, molti terapeuti iniziarono a mettere in discussione la validità del termine “nevrosi”, perché diventato troppo esteso e onnicomprensivo, e rischiava di perdere di significato. A partire dalla terza versione del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), e specialmente nella quarta (ed ultima, allo stato presente), le vecchie categorie delle nevrosi vengono ridistribuite tra nuove e più precise categorie diagnostiche; fra queste i disturbi d’ansia.
Per ansia oggi si intende l’anticipazione apprensiva di un pericolo o di un evento negativo futuro, accompagnata da sentimenti di disforia e da sintomi fisici di tensione che possono avere forti ripercussioni nella vita affettiva, sociale e nell’affermazione professionale.
L’ansia, presa a sè, è un fenomeno del tutto normale in quanto è un’emozione che prepara ed attiva l’organismo in situazioni che potrebbero essere pericolose.
Diviene invece un disturbo emotivo spiacevole quando lo stato di allarme e paura è “esagerato” rispetto ai reali pericoli o se i pericoli non ci sono affatto.
In questo caso l’ansia non è adattiva, ma diventa un problema che può rendere la persona incapace di controllare le proprie emozioni e di affrontare anche le situazioni più semplici. Si possono quindi distinguere due tipi di ansia; quelle denominata di stato e quella denominata di tratto. L’ansia di stato è concettualizzata “come uno stato transitorio emozionale o come condizione dell’organismo umano, caratterizzata da sentimenti soggettivi percepiti a livello cosciente di tensione ed apprensione, e dall’aumentata attività del sistema nervoso autonomo. Può variare nel tempo e fluttuare nel tempo” ( Spielberger et al., 1970). L’ansia di tratto, invece si riferisce per “ differenze individuali relativamente stabili, nella disposizione verso l’ansia, cioè a differenze tra le persone nella tendenza a rispondere con elevazioni dell’intensità dell’ansia di stato a situazioni percepite come minacciose” (Spielberger et al., 1970).
I disturbi d’ansia si caratterizzano per il fatto che il sintomo più rilevante…

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