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Vivere è stare bene con se stessi…

La mia esperienza in ambito psicoterapeutico e formativo mi permette di affermare che il “malessere fisico, la “malattia del corpo” e i “disagi” della mente sono i segnali indicatori della mancaza di armonia nella persona. Disarmonia che pone in discussione l’equilibrio personale e che mette in crisi il potenziale energetico, affettivo, emozionale, mentale e la creatività dell’uomo stesso.

All’interno di tale disarmonia l’individuo perde cosi’ la fiducia e la stima di se stesso, vive la propria vita al di fuori del mondo degli affetti e dei sentimenti, preferisce essere “sordo” alle sensazioni del corpo e utilizza solo pensieri negativi: la sua respirazione diventa incompleta e parziale e non consente un corretto ricambio energetico che causa a lungo andare tensioni muscolari, dolori articolari, difficoltà nel movimento e nella postura; una respirazione incompleta e disarmonica che produce se trascurata ansie, paure, fobie, stati di panico, depressione, insonnia, solitudine, incapacità, demotivazione, dipendenze ecc.,ecc..
Ritornare a star bene con noi stessi e il mondo che ci circonda SI PUO’ !

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I Bisogni fondamentali dell’uomo. Quali sono?

Lo psicologo statunitense Abraham Maslow, tra il 1943 e il 1954, scrisse per primo sui bisogni fondamentali dell’uomo in un libro che poi divulgò nel 1954 dal titolo Motivation and Personality.
Egli individuò così una gerarchia di necessità le quali, se soddisfatte, permettono all’essere umano di vivere in modo soddisfacente, sano e tranquillo.
La gerarchia dei bisogni di Maslow, rappresentata nella piramide che porta il suo nome, è suddivisa in cinque differenti livelli.
Il primo livello di bisogni posti alla base della piramide è di tipo fisiologico/organico, come il mangiare, il bere, il vestirsi, ……
Il secondo è relativo alla sicurezza (safety) come il bisogno di un rifugio, di tranquillità e di pace…
Al terzo livello appartengono i bisogni relativi all’appartenenza (belonginess) di cui fanno parte il desiderio di avere amicizie, di far parte di un gruppo, di amare ed essere amati…
Il quarto livello si caratterizza nella stima di sé (esteem) come il bisogno di avere un’immagine positiva di sé stessi ed in generale di apprezzarsi e di essere apprezzati dagli altri.
Nel quinto e ultimo livello si trovano i bisogni relativi alla realizzazione di sé stessi (self actualization) tra cui rientrano desideri quali l’aspirazione a mettere in opera le proprie capacità ed esprimere la propria creatività.
I bisogni cosi’ suddivisi in cinque categorie sono gerarchici in quanto il desiderio di soddisfare quelli della categoria successiva emerge quando quelli della categoria precedente sono già stati soddisfatti: man mano che l’uomo soddisfa ognuno di questi bisogni, si fa vivo un bisogno di ordine superiore e, il raggiungimento della soddisfazione, è il raggiungimento dell’obiettivo.
Ciò che spinge l’uomo a soddisfare la piramide gerarchica dei bisogni, dal basso verso l’alto, è proprio la motivazione ad agire per ottenere, nel corso della vita, il benessere.
Per Maslow i bisogni di natura superiore quali lo stare nel gruppo, la stima e l’immagine positiva di se stesso, essere apprezzati e la realizzazione di sé, sono fondamentali quanto quelli primari come il mangiare, il bere, vestirsi e tutto ciò che concerne la sicurezza e l’integrità personali.
E questo modo di vedere l’uomo nei suoi fondamentali bisogni da soddisfare trova le sue naturali radici nell’evoluzione dell’uomo stesso, dalle sue origini ad oggi, dove il “lavoro”, rappresenta la modalità elettiva e preferenziale attraverso la quale ha soddisfatto e soddisfa bisogni sia di tipo fisiologico/organico e di sicurezza, sia quelli legati all’appartenenza al gruppo sociale e sia quelli di tipo più interno e soggettivo come la stima in se stessi e la realizzazione di se’ nel contesto di vita sociale.
In altre parole il “lavoro” e il “gruppo”attribuiscono all’essere umano il proprio “modo di essere sociale”.

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Armonia e disarmonia? Il loro significato, la loro comprensione.

L’armonia si può considerare un “accordo tra le parti”.
Nel campo artistico-espressivo possiamo trovare armonia nella concordanza di suoni gradevoli, nella combinazione di accordi, strumenti musicali e voci, oppure nell’accordo di parole per quanto riguarda la prosa e la poesia, nonché un equilibrio nei colori , nelle forme, nelle diverse parti di un’ opera o, in natura, una stabilità tra gli eventi, tra le varie “energie”.
In generale l’armonia, riferita all’essere umano, può essere considerata come un accordo di idee, di gusti, di sentimenti e di comportamenti.
Per quanto riguarda il “gruppo” armonia è accordo, concordanza tra i singoli componenti.
In un contesto “armonico” vi è, quindi, non solo un accordo tra le “parti”ma anche un equilibrio nelle “proporzioni” tra le parti.
Leibniz quale filosofo parla di “Armonia Prestabilita”: l’universo è costituito da unità semplici ed indivisibili denominate “monadi”, unità che interagiscono in apparenza tra di loro.
Cosi’, riferito all’uomo, accettando la concezione che l’anima sia una monade ed il corpo sia costituito da monadi, l’azione “apparente” , del corpo sull’anima e viceversa, costituisce una situazione esplicativa generale di questo fenomeno richiamando l’approccio idealistico e religioso di Malebranche.
Secondo un approccio di tipo bioenergetico l’armonia è un equilibrio tra il corpo e la mente, è un soddisfacente vissuto nelle emozioni e negli affetti, è stabilità nell’ambiente.
L’approccio di tipo cognitivo comportamentale pone in particolare la sua attenzione alle potenzialità dell’individuo nel vivere le situazioni della sua vita e alle risposte conseguenti agli stimoli e alle situazioni dell’ambiente.
Nell’ impostazione gestaltiana l’armonia nel gruppo è determinata dalla naturale tendenza allo stabilirsi di relazioni ottimali nell’azione reciproca di “forze ed esigenze”.
In questo ultimo contesto, l’armonia, diventa all’ora sia la capacità di analizzare un problema, le sue parti , la relazione tra le sue parti rispetto ad un tutto, e sia un’insieme di comportamenti messi in atto per soddisfare i bisogni.
Secondo Maslow i bisogni nella vita dell’uomo vengono incanalati in cinque categorie.
Il primo bisogno è legato alla sopravvivenza e ai bisogni vitali, il secondo diventa la sicurezza fisica, economica e dell’ambiente, il terzo è di tipo sociale inteso nell’appartenenza ad un gruppo, il quarto si individua nella stima di se stessi e dell’ambiente di appartenenza ed infine l’ultimo non per importanza è costituito dai valori vissuti, nonché dalla espressione di se stessi.
Il bisogno di tipo sociale assume per l’uomo una importanza particolare in quanto egli può esprimere nel gruppo molteplici suoi bisogni se , tale “sistema” o “struttura”vige in armonia.
Tenendo in considerazione tali impostazioni la disarmonia può essere considerata allora uno “squilibrio” del “tutto”, una disfunzionalità determinata dalla “inefficienza” di una o più parti, che, poste in relazione con gli altri aspetti causano squilibrio alla globalità del sistema.
In tal modo il “sistema” entrando in “crisi” necessita di ristabilire un nuovo equilibrio attraverso un ulteriore accordo tra le parti e/o la relazione tra le parti per raggiungere nuovamente una nuova globale armonia.
Per la Bioenergetica la disarmonia è riferita al corpo: un corpo contratto, bloccato, insensibile, senza energia che non respira; un corpo che non comunica e che non si relaziona con l’esterno, un corpo che si muove con disagio e sofferenza, un corpo che manca di contatto con il suo ambiente.
E la “crisi” porta disagio, inquietudine, malessere e sofferenza di natura fisica.
Al di là delle impostazioni teoriche di riferimento,l’essere umano si può considerare un “Tutto”complesso che necessita per sua natura esistenziale di relazioni sociali

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La relazione, la comunicazione? Comprendere ed esprimere.

La relazione in generale è un rapporto “essenziale” o “causale” che intercorre tra aspetti, idee o avvenimenti.
Fisiologicamente la relazione è quell’insieme di funzioni fisiologiche legate all’uso degli organi di senso e all’esercizio di movimenti che mettono in relazione gli organismi animali con l’ambiente esterno.
Per l’essere umano la “buona relazione” è prioritamente un legame di affetto e di amicizia tra due o più persone.
Riferita alle relazioni umane in senso lato, la relazione è quell’insieme di rapporti “interindividuali” che si realizzano principalmente nella famiglia, nella scuola e nell’ambiente di lavoro
La comunicazione è l’azione e l’effetto del “comunicare”; è “far uscire” al di fuori la propria “unita”, sia esso oggetto o soggetto, è entrare in relazione con ciò che sta all’esterno.
Ed, in altre parole, la comunicazione è la manifestazione osservabile della relazione
La comunicazione è anche una trasmissione di “informazioni” da un organismo all’altro mediante i simboli che, nell’individuo, possono essere espressi da comportamenti di tipo astratto quali ad esempio la parola e l’espressione grafica.
In questa “globalità” l’aspetto cognitivo, affettivo-emozionale, corporeo, sessuale, sociale, spirituale e religioso interagiscono insieme dando armonia o disarmonia, malessere o benessere ai singoli, alla coppia, alla famiglia in rapporto ai bisogni soddisfati o non, nelle varie fasi della loro vita.
In sintesi possiamo affermare che la relazione umana possiede in sé una connotazione “affettiva” e che la comunicazione, invece, riguarda la trasmissione di aspetti interdipendenti quali il contenuto, le informazioni, il loro significato e la reazione, i comportamenti, conseguenti/antecedenti all’informazione ricevuta o trasmessa.
In tale ottica, il “luogo” o setting ove avviene la comunicazione assume particolare importanza in quanto i reali effetti della comunicazione sul comportamento possono essere individuati in modo più o meno obiettivo.

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La crisi? Un problema.

La crisi nasce da un “problema” che porta disarmonia.
Il problema necessita di essere risolto per ristabilire l’armonia.
In generale è un problema che, secondo i comportamentismi, si verifica perché l’individuo reagisce in modo inadeguato agli stimoli esterni per ripetuti rinforzi negativi, i quali sostengono e riperpetuano il verificarsi di errori od insuccessi
Per la Gestalt il problema viene determinato sia dal comportamento e sia dall’esperienza del soggetto in relazione alla situazione problematica che affronta: i processi di strutturazione e ristrutturazione cognitiva non seguono la “direzione “o tendenza corretta.; nel gruppo il problema persiste perché viene ostacolata la naturale tendenza di “relazioni ottimali” nella reciproca azione di forze ed esigenze
La Bioenergetica , invece, pone l’accento sui disarmonici vissuti, affettivi ed emotivi presenti nel singolo ed espressi all’interno del gruppo.
Se riportiamo il “problema” alla famiglia in un’ottica sistemico-razionale, esso interrompe l’omeostasi, l’equilibrio precedente al verificarsi del problema.
Il problema che causa la crisi nel gruppo familiare richiede un cambiamento del “sistema” stesso, una modificazione al suo interno riguardo soprattutto ai ruoli e alle competenze esercitate dai singoli, agli stili e alle modalità relazionali, nonché alle modalità comportamentali nel comunicare anche negli episodi più semplici della vita quotidiana.
La richiesta di aiuto per ristabilire l’armonia nel gruppo familiare si verifica quando i membri o un membro del gruppo quale sistema si sente impotente di fronte al problema e desidera, vuole ristabilire benessere nei singoli ed equilibrio nel sistema stesso.

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L’individuo, il singolo, la persona? Definizione.

Il termine “individuo” va ad indicare ogni “singolo essere che costituisce un’unità distinta in una specie”.
Nell’uso corrente della psicologia il termine individuo viene attributo all’essere umano.
L’essere umano secondo la Gestalt viene inteso come un “sistema aperto” in attivo confronto con il suo ambiente”
L’individuo diventa cosi’ “persona”, un soggetto “singolo” nel quale interagiscono insieme aspetti spirituali, corporei, morali, cognitivi, emotivi, affettivi, simbolici e sociali, particolarità che lo differenziano e lo distinguono dalle altre specie viventi.
Tuttavia un soggetto singolo che trova il suo vero “significato” all’interno di un contesto di “
Per queste sue abilità l’individuo quale persona e singolo assume in tal modo “significato” per i ruoli e le competenze che egli esercita all’interno dei “gruppi” di appartenenza.
Senza dubbio il primo gruppo sociale nel quale la persona vive è la famiglia: dalle relazioni, dalle modalità nella comunicazione e dai modelli vissuti nella famiglia di origine, l’individuo ripropone e riporta spesso inconsapevolmente, i comportamenti, i modi di fare, i valori e le regole nella nuova famiglia che costituisce.
Per l’essere umano la famiglia rappresenta il primo gruppo sociale nel quale egli sperimenta la sicurezza, la stabilità. l’identità.
Ed è attraverso l’esperienza di coppia che i singoli partner, già dal primo incontro, strutturano e mettono in atto la tipologia della loro famiglia mediante la definizione di “giochi relazionali”, dello stile nella comunicazione e nella definizione di ruoli da esercitare.

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Il gruppo? Le sue regole

In generale il gruppo può essere considerato “il perno tra l’individuo anonimo e il sociale indifferenziato”.
Invece la definizione di gruppo centrata sull’individuo si definisce di tipo “Psicologico” in quanto esso diviene un insieme di persone in relazione tra loro per soddisfare desideri, mete e bisogni comuni. In questo caso si parla di “emergenza psicologica”.
Una definizione di gruppo centrata sul “collettivo” pone l’accento sulla pluralità, sul contatto e sulla percezione reciproca , sullo scopo comune attraverso un sistema di regole condivise e con ruoli reciproci ed interdipendenti in interazione tra loro.
L’integrazione tra il gruppo definito di tipo psicologico e il collettivo presenta un tipo di gruppo di direzione psicosociale dove si stabilisce il legame tra individuo e collettività dove il sociale è costituito da gruppi e sottogruppi in continua relazione e cambiamento.
Ritornando al gruppo in generale la sua identità si costituisce dalla pluralità di persone, in interazione tra loro, con un significato nel loro legame. La pluralità , l’interazione e il significato del legame scaturisce l’emergenza psicologica e a loro volta l’emergenza sistemica.
Riportando il discorso al piccolo gruppo, un numero limitato di persone al quale appartiene anche la famiglia, l’interazione tra i componenti del gruppo si verifica per influenzamento, il fare insieme e l’agire in modo contigente.
In esso il legame che si stabilisce tra gli individui è di tipo prevalentemente affettivo secondo un bisogno di tipo psicologico: soddisfare, essere soddisfatti rappresenta il “contenitore” significativo dove l’attrazione, l’indifferenza o il rifiuto determinano la qualità del legame.
Tra i bisogni individuali che il gruppo può soddisfare troviamo la stima, l’autostima, l’identità e la sicurezza. ( membership).
Invece, il bisogno principale del gruppo, groupship, si individua sul fatto di “esistere” con una sua propria connotazione ed identità; il gruppo presenta una gamma di bisogni che vengono soddisfatti attraverso l’”appartenenza” dei soggetti al gruppo stesso.
E questa appartenenza nutre la vita interna del gruppo, differenza il gruppo rispetto agli altri gruppi e persone e pone il gruppo in comunicazione con l’esterno: attraverso la coesione dei membri del gruppo, il soggetto trova la sicurezza nella collaborazione e nel superamento delle difficoltà.
Tuttavia il gruppo come “sistema”, per continuare le sue funzioni, di equilibrio e di armonia, quali caratteristiche che permettono il suo mantenimento, necessita di una guida denominata “leadership”.
La leadership integra il bisogno individuale con il bisogno del gruppo soddisfando i bisogni delle sue parti e dell’unità. La leadership permette il passaggio dall’interazione, all’interdipendenza, all’integrazione nel contesto della vita del gruppo.
Nel gruppo considerato come “sistema” cioè come “unità” i suoi membri possiedono una duplice identità: individuale e di gruppo.
Per comprendere il gruppo quale sistema è necessario capire come si “autorganizza” attraverso la relazione tra le sue parti. Tale fatto indicato come “emergenza sistemica” richiede la comprensione della sua “valenza”, della sua “organizzazione” e delle sue “unità”.
L’organizzazione di un sistema produce complementarietà (vicinanza tra le parti) ed antagonismo (separazione).
L’antagonismo nel gruppo attribuisce al soggetto la propria specificità, le differenze tra i membri; la complementarietà determina, invece,un legame, la interdipendenza tra gli individui.
In tal senso l’equilibrio, l’armonia in un gruppo si verifica quando le tendenze alla conformità non inibiscano le diversità individuali, le identità di personalità, le abilità, le aspettative, i bisogni.
Il gruppo come sistema che opera può essere aperto o chiuso: l’apertura si riferisce alla relazione con l’ambiente esterno, la chiusura alle regole, alle norme che il sistema si dà per continuare la sua identità come gruppo..
L’organizzazione di un sistema complesso è governato da forze interne individuate dalla relazione tra “ordine” e “disordine”: l’ordine tende alla chiusura del sistema, il disordine alla sua disorganizzazione, alla sua apertura.

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La famiglia? Definizione ed impostazione teorica.

In generale la famiglia viene intesa come “ il complesso delle persone legate tra loro da parentela, matrimonio ed affinità”.
La famiglia è un gruppo primario per l’essere umano.
Secondo l’impostazione sistemico relazionale la famiglia è un “sistema” di interazioni, di vissuti affettivi, -cognitivi individuali e di espressioni di ruoli, di comportamenti e di stili relazionali.
All’interno di questo sistema il comportamento del singolo è in rapporto con il comportamento degli altri membro o meglio il comportamento di ogni singolo membro dipende dal comportamento degli altri appartenenti al gruppo familiare.
E poiché ogni comportamento è comunicazione l’azione dei singoli viene reciprocamente influenzata.
In tal modo la famiglia non è un sistema lineare dove vi è un inizio e una fine ma è un sistema con “circuiti a rotazione circolare” dove ciascun elemento o sottosistema influenza e viene influenzato dagli altri in modo reciproco.
La famiglia è anche un sistema “aperto” che interagisce con gli altri sistemi sociali presenti nella società di appartenenza
Ed inoltre, la famiglia come la coppia è un sistema interrativo nel presente con una sua storia passata
Essa come gli altri sistemi sociali, possiede la facoltà di “autogovernarsi” sulla base di principi e regole stabiliti e di “modificarsi” nel tempo in rapporto agli eventi interni ed esterni
Dati tali requisiti, la famiglia, viene intesa come “l’insieme costituito da una o più unità collegate tra loro in modo che un cambiamento nello stato di una unità sarà seguito di nuovo da un cambiamento nelle altre unità; tale cambiamento sarà seguito da un cambiamento di stato nell’unità primitivamente modificata”

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Disagio, malessere e sofferenza?

I motivi della disarmonia in un gruppo familiare
Il disagio è indicativo della mancanza di benessere, è privazione, è scomodità ed imbarazzo.
Il malessere, invece, è un “male” non ben definito, è uno stato di inquietudine di disagio.
La sofferenza è un dolore che, come il malessere e il disagio, può essere di tipo fisico, morale, cognitivo, psicologico e spirituale per l’uomo.
Il disagio, il malessere, la sofferenza dei membri all’interno di un gruppo possono essere causati da fattori esterni: il lutto o la grave malattia del partner, dei figli. Anche il comportamento antisociale di un membro della famiglia quale l’uso di droghe ecc.rappresentano esperienze “traumatiche” che pongono in crisi la chiarezza delle relazioni, l’equilibrio nella comunicazioni, l’esercizio dei ruoli espressi precedentemente all’interno del gruppo stesso.
Questi si possono considerare motivi di tipo esplicito.
Invece, il disaccordo, i continui litigi, il disagio, il malessere all’interno della coppia o tra genitori e figli, i problemi legati alla sessualità tra i partner, la nascita di un figlio, la perdita del lavoro, la presenza dell’handicap ecc. possiedono in sé dinamiche interpersonali dei singoli non sempre chiaramente esplicitate ma che compromettono la stabilità e l’equilibrio dell’armonia all’interno del gruppo.

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Il lavoro? Mobilità, cooperazione, gruppo di lavoro e lavoro di gruppo

Per cooperazione, intendo una collaborazione basata sull’intesa efficace sui contenuti, nella relazione, nella comunicazione reciproca, nelle competenze professionali e nelle abilità interpersonali.
Per mobilità intendo la facilità di agire in ambiti lavorativi diversi tra loro, per creatività voglio dire inventiva e originalità, per motivazione la certezza e la validità degli obiettivi che si intendono raggiungere nel lavoro ed infine, per competenze, mi riferisco alle pertinenze professionali nonché alle capacità di relazionarsi e di comunicare con gli altri.
Vediamone le motivazioni attraverso alcune riflessioni e considerazioni!
E’ ampiamente sostenuto che l’essere umano ha motivo di “essere” e di “operare” perché, naturalmente, è portato a vivere insieme agli altri in una struttura chiamata “gruppo” e che l’attività lavorativa rappresenta per l’uomo la soddisfazione non solo dei bisogni primari ma è anche l’espressione dei suoi aspetti psicologici, emozionali e nel complesso interpersonali.
Pensando alla storia dell’essere umano dalla sua nascita sino ad oggi, risulta difficile sostenere il contrario.
Cerchiamo allora di comprendere, più in profondità, chi è il singolo cioè la persona e chi è il gruppo, quali sono in altre parole le sue principali caratteristiche, come e perché si costituisce.
Secondo l’approccio psicologico della Gestalt il singolo viene inteso come un “sistema aperto” in attivo confronto con il suo ambiente.
L’individuo diventa così persona, un soggetto singolo nel quale interagiscono insieme aspetti spirituali, corporei, morali, cognitivi, emotivi, affettivi, simbolici e sociali, particolarità che lo differenziano e lo distinguono dalle altre specie viventi.
A sua volta il soggetto singolo trova il suo vero significato all’interno di un contesto di gruppo, perché è qui che apprende, esercita e sperimenta i ruoli, le competenze, le risorse, le proprie potenzialità e soddisfa i propri bisogni nonché le proprie aspettative.
Prendiamo ora brevemente in considerazione tre definizioni di gruppo particolarmente significative nella vita dell’uomo: quella centrata sull’individuo, quella centrata sul collettivo e quella che integra l’individuale con il sociale.
La definizione di gruppo centrata sull’individuo intende un insieme di persone, poste in relazione tra loro, al fine di soddisfare desideri, mete e bisogni comuni. In questo caso si parla di emergenza psicologica.
Invece, la definizione di gruppo centrata sul collettivo pone l’accento sulla pluralità, sul contatto e sulla percezione reciproca , sullo scopo comune attraverso un sistema di regole condivise e con ruoli reciproci ed interdipendenti in interazione tra loro.
L’integrazione tra il gruppo definito di tipo psicologico e il collettivo, presenta un tipo di gruppo di direzione psicosociale dove si stabilisce il legame tra individuo e collettività e dove il sociale è costituito da gruppi e sottogruppi in continua relazione e cambiamento.
Tra i bisogni individuali che il gruppo può soddisfare troviamo la stima, l’autostima, l’identità e la sicurezza ( membership).
Invece, il bisogno principale del gruppo, groudship, si individua sul fatto di esistere con una sua propria connotazione ed identità; il gruppo presenta una gamma di bisogni che vengono soddisfatti attraverso l’appartenenza dei soggetti al gruppo stesso.
E’ questa appartenenza che nutre la vita interna del gruppo, differenzia il gruppo rispetto agli altri gruppi e persone e lo pone in comunicazione con l’esterno: attraverso la coesione dei membri del gruppo, il soggetto trova la sicurezza nella collaborazione e nel superamento delle difficoltà.
Tuttavia il gruppo stesso come “sistema”, per continuare le sue funzioni, di equilibrio e di armonia, quali caratteristiche che permettono il suo mantenimento, necessita di una guida denominata leadership.
La leadership integra il bisogno individuale con il bisogno del gruppo, soddisfacendo le necessità delle sue parti e dell’unità. La leadership permette il passaggio dall’interazione, all’interdipendenza, all’integrazione nel contesto della vita del gruppo.
Il gruppo può essere considerato anche come “sistema”. Nel gruppo come sistema i suoi membri possiedono una duplice identità: quella individuale e quella di gruppo.
Per comprendere il gruppo inteso come sistema è necessario capire come si autorganizza attraverso la relazione tra le sue parti. Tale fatto, indicato come emergenza sistemica, richiede la comprensione della sua valenza, della sua “organizzazione” e delle sue unità.
L’organizzazione di un sistema produce complementarietà (vicinanza tra le parti) ed antagonismo (separazione).
L’antagonismo nel gruppo attribuisce al soggetto la propria specificità e le differenze tra i membri; la complementarietà invece determina un legame che rende interdipendenti gli individui tra loro.
In tal senso l’equilibrio, l’armonia in questo tipo di gruppo si verifica quando le tendenze alla conformità non inibiscono le diversità individuali, le identità di personalità, le abilità, le aspettative, i bisogni.
Il gruppo come sistema che opera può essere aperto o chiuso: l’apertura si riferisce alla relazione con l’ambiente esterno; la chiusura alle regole, alle norme che il sistema si dà per continuare la sua identità come gruppo.
L’organizzazione di un sistema complesso è governato da forze interne individuate dalla relazione tra ordine e disordine: l’ordine tende alla chiusura del sistema, il disordine alla sua disorganizzazione e alla sua apertura.
Riferendosi ad un sistema produttivo è possibile fare una distinzione tra il gruppo, il gruppo di lavoro e il lavoro di gruppo.
Il primo risulta una coesione di bisogni da soddisfare nei suoi componenti ed è l’espressione dell’emergenza psicologica. Esso si presenta con una pluralità in interazione. Il gruppo è un insieme numericamente ridotto di persone.
Il gruppo di lavoro è invece una pluralità in integrazione dei bisogni psicologici dei soggetti, di armonizzazione delle uguaglianze e delle differenze.
Ed infine il lavoro di gruppo si costituisce come il campo di azione del gruppo di lavoro.
Sia all’interno che all’esterno della sua struttura il lavoro di gruppo esprime la reciprocità dello scambio. Il lavoro di gruppo richiede la pianificazione del compito, il suo svolgimento e la gestione delle relazioni tra i membri e tra il gruppo e l’organizzazione.
Il lavoro di gruppo mira ad un risultato che abbia le caratteristiche della innovatività, qualità, efficacia, che sono richieste al gruppo di lavoro: in altre parole, il prodotto deve soddisfare l’aspettativa del lavoro di gruppo, che è quella di raggiungere risultati quantitativamente e qualitativamente superiori rispetto al lavoro individuale.
Di conseguenza è necessario che il gruppo che opera in una organizzazione di lavoro si trasformi e si evolva in un lavoro di gruppo: in questo modo assume una sua specifica identità, soddisfacendo anche i bisogni dei suoi componenti.
Il percorso e l’evoluzione di un gruppo in un gruppo di lavoro è un processo di team building o meglio è capacità ed espressione di attività concreta e modalità di intervento, che il gruppo stesso utilizza per costruirsi e presentarsi come soggetto sociale tra altri soggetti organizzati.
A questo proposito mi riferisco, in particolare, al gruppo di lavoro che nell’ambito della produzione si identifica oggi più che mai come impresa cooperativa.
Per avere successo, essere efficiente ed efficace, l’impresa cooperativa deve possedere soprattutto un chiaro e condiviso obiettivo tra i membri del gruppo, un metodo di gruppo che trovi la sua efficienza nelle regole, nella interazione professionale e nei reciproci confronti nonché nelle azioni e nelle operazioni che permettono di mettere in evidenza il percorso di lavoro del gruppo stesso nella sua globalità.
Voglio non dimenticare il fatto di sostenere ed incentivare le risorse dei singoli componenti, di creare l’interdipendenza operativa delle competenze tra i soggetti come risorsa del gruppo stesso, di non escludere l’interdipendenza affettiva attraverso l’accettazione e la condivisione del metodo utilizzato dal gruppo e insieme il rispetto delle differenze che si esprimono nella diversificazione dei ruoli, dei compiti e delle responsabilità, attribuiti in modo chiaro e preciso in relazione al risultato o prodotto finale che il gruppo intende raggiungere.
Inoltre, le caratteristiche individuali devono essere valorizzate e la conduzione del gruppo, per essere efficace, deve esprimere le aspettative del gruppo stesso mediante una comunicazione, efficace e trasparente, anche per lo scambio delle informazioni finalizzate al raggiungimento dei risultati collettivi.
In questo contesto lo scambio, il confronto, l’ascolto e l’esposizione si devono realizzare in un clima sereno ed accogliente.
Considerato che queste sono le caratteristiche che permettono l’evoluzione di un gruppo in un gruppo di lavoro, attraverso il processo di team building, la preparazione individuale e collettiva nel mondo del lavoro, oggi, deve essere particolarmente curata nella formazione del singolo verso il gruppo, al fine di affrontare, con successo o minore disagio interpersonale, la complessità ed il periodo di transizione nel campo dell’economia e della produzione.
Oggi il mondo del lavoro è un mondo sempre più caotico, convulso ed incerto e la rapidità, rispetto agli altri, nel raggiungere l’obiettivo richiesto, può significare la creazione di lavoro.
Di conseguenza, la diversificazione dei ruoli, che si concretizza con il gruppo di lavoro, rappresenta un elemento fondamentale per snellire il lavoro e velocizzarne la sua conclusione.
Pertanto i requisiti fondamentali dei componenti il gruppo di lavoro sono la fiducia verso gli altri, la stima e considerazione positiva nei confronti di sé stessi e delle proprie capacità, la condivisione della leadership e del proprio ruolo.
Quindi, riportando quanto è stato espresso precedentemente, per vivere il lavoro, oggi, gli ingredienti della ricetta ideale è un insieme di solidarietà e benessere personali, che si esprimono nella motivazione e l’interesse di fare; l’accettazione delle competenze professionali che si modificano, cambiano velocemente, che si evidenziano nel desiderio della mobilità; le capacità relazionali e comunicative che si esprimono nella cooperazione; l’originalità, la creatività, l’apertura e la autonomia che si manifestano nel prevedere, da lontano, i bisogni della economia e della produzione ed infine, non da dimenticare, le potenzialità personali nel gestire, tollerare e superare le frustrazioni che il mondo della economia oggi presenta a non poche persone.

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Infanzia? Riflessioni.

Il bambino è colui che, per crescere, ha bisogno della presenza dell’adulto per apprendere modalità e modelli di comportamento, sviluppare e mettere in atto le sue capacità cognitive, intellettive e sociali.
Così è all’adulto che egli chiede sostegno, guida ed aiuto per diventare un individuo autonomo e per affrontare e superare le difficoltà poste nell’iter della sua crescita riguardo all’affettività, alla corporeità e alla socialità.
Quello del bambino e’ un “mondo” che necessita la dipendenza dall’adulto per avviare sin dai primi anni di vita i processi di identità personali e sociali sulla base delle relazioni affettive stabilite in primis con le figure parentali, all’interno del contesto familiare, modelli e ruoli che riporta poi nelle strutture educative scolastiche e che esercita con i pari dello stesso e diverso sesso.
Il bambino e’ anche colui che utilizza con naturalezza il gioco, l’espressione grafica e il movimento del corpo per esprimere il suo mondo interiore, frutto delle esperienze che egli vive nella relazione con se stesso, con l’ambiente umano e fisico che lo circonda. Il suo e’, tra l’altro, un mondo interiore ricco di curiosità, creatività e bisogni da soddisfare, un mondo pieno di desideri di amare e di essere amato; in esso vi e’ tanta energia positiva da coltivare perché il bambino diventi un uomo, una donna, un cittadino in grado di stimarsi, di curarsi, un individuo che si sente soddisfatto delle relazioni e della comunicazione con l’ambiente che lo circonda.
In questo contesto, allora, la responsabilità dell’adulto diventa quella di far crescere nel bambino la sua naturale predisposizione all’amore, interagendo in modo positivo con la soddisfazione dei propri bisogni.

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Adolescenza? Riflessioni Viene detto che…..

E’ un particolare periodo della vita che segna il passaggio dall’infanzia all’età adulta ed è caratterizzato da una profonda incertezza.
L’adolescenza è definita come un periodo di transizione in cui il soggetto si lascia alle spalle l’età infantile e si proietta nel mondo degli adulti.
Questo passaggio non è quasi mai lineare e si può ritenere soggettivo in relazione anche alle caratteristiche del contesto sociale di vita.
IL periodo considerato và dai 12 anni ai 18 anni ed è caratterizzato spesso da una bassa autostima.
In verità il periodo adolescenziale è caratterizzato dalla tensione fra identità e dispersione di identità dove trovano ampio posto le contraddizioni, l’instabilità emotiva, l’eccitazione, lo scarso riconoscimento di se stessi, l’imprudenza e i comportamenti a rischio.
I ragazzi adolescenti devono fare i conti con il corpo il trasformazione e i dubbi su chi sono e dove vogliono andare.
Contemporaneamente l’adolescenza diviene un momento di grande scoperta di sé stessi sulla base di cosa apprezzano, cosa li interessa, cosa li emoziona.
La difficoltà maggiore in adolescenza è quella di affacciarsi ad un mondo nuovo, sconosciuto che non sanno se li accoglierà e con quali modalità.
In questo periodo gli adolescenti cercano la loro identità da adulto, lo sviluppo e la crescita della personalità, le proprie caratteristiche e le spiegazioni al senso della vita.
Agli adolescenti è richiesto di superare compiti di sviluppo, termine diffuso da Havighurst (1952):
“ nel caso in cui tali compiti siano portati a termine in modo costruttivo e positivo, questo conduce ad una condizione di benessere, aumento dell’autostima, sviluppo armonioso con il contesto ed infine pone le basi per il successo del superamento dei compiti di sviluppo delle fasi successive.
I compiti di sviluppo riferiti all’età adolescenziale riguardano la sfera personale (le emozioni, i sentimenti, il corpo, il cognitivo) e quella socio-istituzionale ( le responsabilità, i compiti, i ruoli ).

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L’adulto? Riflessioni. Poche parole.

L’adulto è il risultato del bambino e dell’adolescente.
L’adulto porta con sé il bagaglio del suo vissuto socioaffettivo e corporeo dell’infanzia e della adolescenza; ripropone i modelli di comportamento appresi e i modi di fare provenienti dal contesto sociale e familiare di provenienza.

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LA SESSUALITA? Il bisogno di capire

Sempre più numerosi sono oggigiorno i fatti legati alla violenza. Si può subire violenza ovunque e in ogni età ; gli episodi che ci parlano di violenza sono molteplici e di vario tipo.
I giornali e i mezzi di comunicazione ne danno notizia, espongono i fatti, illustrano i luoghi, parlano delle persone coinvolte, presentano conseguenze e soluzioni.
Gli esperti in materia ( psicologi, medici, sociologi, giuristi) intervengono per capire e spiegare perché ciò possa accadere. Vengono studiati e presentati i tratti di personalità “di chi” violenta e le conseguenze “di chi” subisce la violenza, sono resi colpevoli ora l’uno, ora l’altro od entrambi; si propongono interventi di tipo rieducativo per l’una e l’altra persona, si definiscono gli ambiti e le modalità per prevenire abusi e violenze .
L’opinione pubblica e’ oramai più che attenta a tali fenomeni: presta attenzione alla notizia e ne è coinvolta soprattutto emotivamente.
Quando gli episodi di abuso, di violenza e di sfruttamento parlano di sessualità e riguardano in particolare i minori e tra questi i bambini, il coinvolgimento emotivo della gente e’ maggiore. Essa rimane ancora più sbalordita e confusa perché il fatto rende protagonisti da una parte i minori, persone indifese ai quali spetta di diritto l’amore, la cura, la guida, il sostegno, la tutela e il rispetto degli adulti e dall’altra individui maturi che per le loro motivazioni e dinamiche personali abusano al fine di soddisfare il proprio desiderio sessuale.
Secondo alcune ricerche, negli ultimi dieci anni, circa il 25% delle violenze sessuali e’ rivolto ai bambini e, nonostante si possa affermare che le devianze e le patologie sessuali siano sempre esistite e che la gravità degli episodi legati alla pedofilia, all’incesto e alle violenze sessuali rivolte ai minori, dipenda dal contesto socioculturale e dal periodo storico in cui si verificano, la frequenza con la quale oggi tale fenomeno si manifesta nel nostro contesto sociale senza distinzione di razza e di provenienza, e’ indicativa di un forte disagio vissuto dal singolo individuo nel sociale.
La sessualità umana, infatti, nelle sue componenti biologiche. psicologiche, sociali e culturali, assume da sempre per l’uomo un significato “esistenziale profondo” che va oltre la dimensione istintuale.
Insieme alla varietà di situazioni con le quali viene presentato l’abuso sessuale come il “cunnilingus”, la “fellatio”, la “masturbazione” , la “sodomia” e i “rapporti sessuali”, l’opinione pubblica si trova ad ascoltare anche tematiche che riguardano le caratteristiche e la crescita della sessualità del bambino, dell’adolescente e dell’adulto non solo riferiti dal punto di vista medico o biologico ma anche quale espressione affettiva, relazionale, cognitiva e corporea dell’individuo all’interno di un processo di crescita che coinvolge il vivere personale e sociale.
Dobbiamo quindi considerare la sessualità sia come un aspetto fondamentale della personalità ma anche come espressione di un processo di crescita del nostro senso di identità.
Se in generale “l’ identità ” viene intesa ciò che una persona e’ in un dato momento della sua vita (infante, bambino, adolescente, adulto ) e si viene a definire sulla base delle capacità, delle abilità, dei valori, degli atteggiamenti e dei rapporti affettivi acquisiti in un determinato contesto sociale generale o più ristretto come la famiglia e la scuola, l’identità sessuale si identifica con il genere maschile o femminile di appartenenza e rappresenta il senso di noi medesimi quali maschi o quali femmine ed insieme al ruolo di genere implica tutto ciò che sentiamo e pensiamo, tutto ciò che facciamo e diciamo ( Money e Tucker ; 1965). Così, se il senso dell’ identità rappresenta globalmente l’idea, lo schema e il modello mentale che ognuno di noi possiede di se stesso e che si viene a definire sulla base delle esperienze affettive-emotive-sociali vissute nella relazione con se stessi, con l’ambiente umano e fisico, il senso dell’identità sessuale e’ il “come ci si sente di essere” nel genere di appartenenza.
Tuttavia un dato ormai scientificamente provato, al di là di ogni teoria e pratica psicologica, si riferisce al fatto che l’identità e il senso di identità sessuale nell’adulto non possono che essere il frutto di esperienze e vissuti precedentemente sperimentati nel corso delle fasi precedenti di crescita nei confronti di se stessi e della relazione con i coetanei e gli adulti.

LA SESSUALITA?
Riferimenti teorici……..un po’ di storia …. Freud e Reich
Sia Freud che Reich sono stati dei coraggiosi pionieri nel campo della sessualità. Tuttavia, alla resa dei conti espressero due opinioni profondamente diverse sulla natura umana; Reich infatti, pur partendo dal terreno della psicoanalisi fonderà poi un campo di studi autonomo, la sessuo-economia che egli stesso definisce” una teoria scientifica della sessualità fondata sperimentalmente…”( Reich, 1948); il caposaldo della sessuo-economia è che la salute psicologica dipende dalla potenza orgastica, ossia dalla capacità di abbandonarsi alle scariche vegetative nel culmine dell’atto sessuale. Così la malattia mentale altro non sarebbe che un disturbo nella naturale capacità di amare dell’individuo.
Dal punto di vista evolutivo, Reich sottolinea che la regolazione delle pulsioni sessuali ( e quindi lo sviluppo del senso di sé come essere avente una propria sessualità) non può provenire dall’esterno né può essere insegnata; essa si regola da sé in modo intrinseco all’individuo: imposizioni educative rigide, moralistiche e coatte da parte di genitori ed educatori sono i fattori principali che provocano lo sviluppo della “armatura caratteriale” ovvero la costruzione di un sistema difensivo ( sia sul versante psicologico che sul versante fisico sotto forma di spasmi muscolari) che impedisce alle emozioni ( angoscia, rabbia, eccitazione sessuale) di manifestarsi liberamente e spontaneamente. Questo stato di cose, secondo l’autore, potrebbe provocare una perdita di potenza genitale e creare il terreno adatto per la strutturazione della nevrosi..
In tal modo la crescita di un bambino sano , capace di amare e di abbandonarsi pienamente al flusso vitale della scarica sessuale dipende dalla presenza di un educatore “libero da angosce e blocchi psichici sul tema della sessualità” ( Reich, 1983).
Reich infine nega la derivazione istintuale degli atteggiamenti distruttivi, sadici, masochisti nell’individuo attribuendone la responsabilità ai meccanismi delle educazione che reprime inconsciamente la sessualità infantile facilitando ai genitori l’assoggettamento autoritario dei figli.
Freud al contrario di Reich attribuisce la responsabilità della distruttività umana a qualcosa che appartiene alla natura umana, ad una spinta, cioè, distruttiva (pulsione di morte) a cui si contrappone una tendenza costruttiva ed amorosa ( Eros).
Fu comunque proprio Freud a ricostruire in modo minuzioso le modalità di sviluppo psicosessuale del bambino.
Attraverso la sua teoria e prassi terapeutica egli viene a definire, quindi, una sessualità pregenitale propria dell’infanzia, nelle sue manifestazioni psichiche, corporee, affettive vissute nel corso delle fasi Orale, Anale, Fallica, Fallico-edipica e una sessualità adulta genitale che si prepara con la pubertà e l’adolescenza dopo un periodo di Latenza.
Ed e’ in questo senso che la sessualità dell’individuo diviene, quindi, struttura di personalità nelle sue componenti simboliche. affettive, corporee e cognitive nei confronti di se stessi e delle relazioni vissute con l’altro.
Nelle fasi Orale ed Anale la crescita sessuale del bambino, all’interno di un processo globale mirato ad acquisire una identità personale che gli fa superare il rapporto simbiotico con la figura materna mediante l’uso autonomo delle abilità motorie, verbali e degli organi di senso , è riferita in particolare alle esperienze nelle sensazioni dettate dal suo corpo attraverso il suo modo di apprendere che e’ legato al soddisfacimento dei bisogni primari; nel periodo Fallico l’individuo si riconosce come maschio o come femmina sulla base dei condizionamenti socioculturali e del tipo degli organi genitali maschili e femminili. Si inizia, così, a stabilire un rapporto affettivo più complesso, d’amore e di identificazione con le figure parentali denominato periodo Fallico Edipico.
E’ questa fase della seconda infanzia, periodo che va dai 3 ai 6 anni, che si presenta particolarmente rilevante non solo per la crescita globale della persona ma anche per la crescita sessuale dell’individuo.
Il bambino inizia in questo periodo a trasformare le proprie esperienze da sensazioni a percezione e ad interiorizzare i vissuti del suo corpo. Compare la funzione simbolica, si sviluppa la rappresentazione mentale delle azioni proprie e quelle ricevuta. Egli e’ in grado di ampliare e migliorare in modo più personale le informazioni e le conoscenze provenienti dall’esterno.
Le esperienze vengono vissute in modo personale e il giudizio a loro attribuite si basa sulla conseguenza dettata dal comportamento proprio ed altrui.
E’ l’età della strutturazione dell’IO in cui il bambino inizia a prendere coscienza del proprio corpo ma e’ anche l’età dell’imitazione che gli permette di apprendere riproducendo le azioni del modello soprattutto attraverso il gioco espresso soprattutto con il movimento del corpo e il disegno, quest’ultimo uno dei tanti possibili giochi a cui il bambino può far ricorso per esplorare e scoprire maggiormente se stesso, l’altro e per esternare la propria realtà interna.
Entrambi, gioco e disegno, sono attività gratificanti per il bambino, mediante i quali egli imita, esprime l’identificazione dei modelli e dei ruoli familiari, immagina ed esprime i vissuti dei sentimenti e delle emozioni.
Sono in particolare i giochi che il bambino fa e le espressioni grafiche che fanno emergere le dinamiche legate alla sua sessualità pregenitale.
Nell’infanzia il bambino fa sue le regole dell’adulto con il quale in particolare stabilisce un rapporto di vicinanza affettiva che con piacere esprime attraverso il contatto corporeo.
Negli abusi sessuali egli ignora il concetto di “consenso informato”, che gli da la possibilità di scegliere se accettare o no un rapporto di tipo genitale.
Si affida all’adulto considerandolo figura autorevole ed onnipotente; l’adulto che abusa sessualmente a sua volta utilizza il suo potere affinché il bambino partecipi alle attività sessuali in cambio di doni o di situazioni piacevoli e desiderate.
Il bambino sessualmente utilizzato non comprende la conseguenza del suo comportamento e la ritiene moralmente accettabile anche se, in fondo, a lungo andare si sente responsabile delle azione fatte e ricevute. Egli vive l’ambivalenza delle sue colpe: da una parte si sente impotente nel frenare i comportamenti sessuali, l’abuso che di lui si fa e dall’altra si sente responsabile di quanto succede.
Nel periodo di Latenza, l’età compresa tra i 6 e i 10 anni, acquisisce la stima o la disistima di se’ sulla base del giudizio che adulti, genitori, insegnanti od altri danno rispetto alle sue capacità psicologiche e relazionali. Vengono interiorizzate le norme sociali e il bambino abusato sessualmente con sistematicità può provare vergogna per avere acconsentito alle attività sessuali ed interiorizzare il giudizio negativo (e’ colpa tua, tu hai accettato) da parte di chi violenta nel caso in cui egli si rifiuti di acconsentire o minacci di rendere noto quanto accade.
I processi psicologici di individuazione/separazione e quelli somatici legati alla modificazione del corpo che caratterizzano l’Adolescenza e la Pubertà mettono in crisi il rapporto di dipendenza del soggetto con l’adulto del periodo infantile. I valori, i principi morali e i comportamenti dell’adulto che il bambino faceva suoi iniziano ad essere utilizzati progressivamente dal ragazzo tra gli 11 e i 18 anni per essere contestati e violati alla ricerca di una identità personale.
L’abuso sessuale in questa fase di crescita può essere vissuto dalla vittima come novità e curiosità ma anche come un atto di forza e di violenza subita . E allora, soprattutto nel caso di ripetuto abuso sin dall’infanzia, le responsabilità della vittima assumono un peso particolarmente rilevante: la responsabilità di non essere riuscita a riconoscere prima l’esercizio dell’atto immorale e il danno fisico conseguente; responsabilità per la partecipazione; responsabilità per l’eventuale reazione della famiglia; responsabilità per non aver cercato aiuto prima; responsabilità per non aver potuto evitare l’abuso; responsabilità per l’eventuale piacere ottenuto; responsabilità per non essere riuscita a proteggere se stessa ed altri.

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Malattia di Parkinson?

Le conseguenze? Identità e valutazione di se stessi !
La malattia di parkinson procura insicurezza ed incertezza per la perdita della gestione del proprio corpo, mette in discussione, il ruolo e le competenze della persona. E’una realtà che crea crisi e conflitti negli affetti in famiglia, con i parenti e gli amici, procura problemi nelle relazioni sociali in genere e determina conflittualità nell’ambiente di lavoro.
In altre parole è “l’identità” e la “valutazione” di se stessi che, con il proseguo della malattia, vengono intaccati, violentati perché mettono in discussione la corporeità, la affettività e la socialità dell’individuo.
Inizialmente l’individuo si chiede: “perché proprio a me la malattia di parkinson” ? E perché “il mio modo di amare e di essere amato, il mio sentire” e la gestione della mia vita insieme agli affetti stanno cambiando, sono cambiati e forse cambieranno ancora ?

LA MOTIVAZIONE ? Perché si verifica !
Nell’essere umano esiste sin dalla nascita uno stretto rapporto di interdipendenza tra il corpo e la mente, una relazione che gli permette di esprimere con globalità ed unità la sua personalità, un suo modo di essere che egli esprime nella relazione con se stesso e nella comunicazione con “l’ambiente esterno”.

LA MOTIVAZIONE ? Le origini !
L’uomo sa pensare, fantasticare, ricordare , parlare, scrivere, svolge complesse attività lavorative e di simbolizzazione, abilità queste che si vanno costruendo sulla base della progressiva maturazione neuromuscolare e degli organi di senso.
Ed è attraverso l’esercizio di queste capacità di autonomia e di comunicazione che l’uomo sin da bambino inizia a strutturare l’immagine mentale di se stesso come soggetto distinto dagli altri ma in relazione e in comunicazione con ciò che lo circonda mediante l’uso di codici astratti comuni dovuti alla complessità della sua struttura cerebrale.
Nel corso di questo processo di maturazione, l’uomo da adulto giunge così ad attribuire senso alla sua vita perché esercitando tali capacità acquisisce ruoli e stima di sé sulla base delle competenze maturate ed esercitate nel contesto sociale e familiare.

INVECCHIARE ? Il suo risvolto concreto!
L’invecchiamento, quale fase esistenziale naturale ma che si caratterizza per il progressivo rallentamento delle funzioni cerebrali, delle abilità di autonomia, dei processi di astrazione e di memorizzazione, della funzionalità degli organi e degli apparati del corpo, porta l’uomo ad un cambiamento nei ruoli e nelle competenze sociali.
La malattia di Parkinson con le sue caratteristiche manifestazioni rientra in questa fase della vita: i malati di Parkinson oggi sono in aumento e tra questi ci sono casi più frequenti di giovani adulti.
In questi casi l’invecchiamento è precoce ed spesso in diacronia con la naturale tappa evolutiva di un adulto che potrebbe esercitare ancora ruoli attivi nella società.
In tutti si interrompe però l’armonia tra il corpo e la mente, un equilibrio precedentemente consolidato che attribuisce stabilità all’immagine di sé, alla vita sociale. familiare, interpersonale.
Così, se dal punto di vista somatico nel vissuto del malato di Parkinson si trovano stanchezza e sofferenza fisica, tremori, movimenti strani ed incontrollabili, blocchi muscolari, disarmonia nella postura, difficoltà nel parlare ecc., dal punto di vista psicologico nel malato e nei familiari la vita si riempie di angosce, di paure, di incertezze, di rabbia, di depressione, di intolleranze, di aggressività e di intensi conflitti interni e relazionali.

STRUTTURA CELEBRALE EVOLUTA ? Il suo percorso!
La complessa struttura cerebrale dell’essere umano permette al corpo di essere investito di tonalità emotive ed affettive: esso può essere accettato oppure rifiutato, amato od odiato, tollerato o detestato sulla base della soddisfazione dei bisogni dell’individuo.
Inizialmente l’esistenza umana e’ legata ad un vissuto di “sensazioni” per soddisfare i bisogni primari per vivere quali modalità che consentono anche di esercitare le prime esperienze per conoscere se stessi e il mondo.
In tal modo nel corso del suo processo di crescita, l’uomo, integra lo sviluppo corporeo con quello mentale e psicologico e le sensazioni si trasformano in emozioni e in sentimenti verso se stessi, l’ambiente umano e fisico.
E poiché il corpo rappresenta il primo canale attraverso il quale tutti noi impariamo ad esprimere le emozioni e i sentimenti, è mediante il corpo che apprendiamo a gestire a controllare il dolore, la sofferenza. Lo facciamo molto spesso bloccando la respirazione, usando le tensioni muscolari, una scorretta postura, oppure utilizzando pensieri negativi.
Certamente il dolore gestito in questo modo fa perdere all’individuo il potere di mettersi in contatto con il proprio corpo e la difesa contro la sofferenza fisica diventa alquanto difficile.

MALATTIA DI PARKINSON ? Le caratteristiche !
Sappiamo che nella malattia di Parkinson l’uso del corpo diventa progressivamente incerto, difficilmente gestibile anche nelle semplici azioni della vita quotidiana, sofferente e stanco.
In tale contesto l’individuo perde frequentemente il “contatto” con il proprio corpo e ciò crea nella persona uno stato permanente di angoscia e di allarme. C’è invece chi si fa prendere dall’ansia del dover fare e allora è sempre in movimento,oppure chi decide di non fare più nulla.
Così alti livelli di tensione e una permanente ambivalenza negli stati d’animo nonché un alternarsi di continue emozioni pongono in crisi la stima e l’identità personali, mettono in discussione la stabilità della relazione affettiva e il ruolo nei confronti dei figli, del partner, degli amici, dei colleghi di lavoro e di chi in genere comunica con il malato di Parkinson: “non so più chi sono, non riconosco più il mio partner, mio padre / madre, non è più lui / lei, si afferma”.
In genere il malato di Parkinson e i suoi familiari provano vergogna in particolare per la strana gestualità e per un corpo difficile da gestire con intenzionalità; si preferisce nascondersi attraverso l’isolamento, il non fare più nulla limitando il più possibile le relazioni con l’esterno; si cerca la dipendenza dall’altro, a volte si odia e si ama con difficoltà, si spera di guarire ma si ha anche voglia di morire.
In questo contesto il malato di parkinson aspetta con angoscia le manifestazioni del suo corpo tipiche della fase di “Off” e gestisce in modo inefficiente la gestualità, il movimento della fase di “On” quando l’interesse per la vita si può ancora certamente esprimere.
Gli stati di “Off” in cui la sofferenza e le parti del corpo non si possono gestire con intenzionalità e gli stati di “On” rappresentano per il soggetto e i suoi familiari la parte “malata” e la parte “sana”. Entrambe coesistono in tutti i malati di parkinson anche se esse vengono vissute in modo personale e soggettivo come lo sono le reazioni ai farmaci e le manifestazioni della malattia

MALATTIA DI PARKINSON ? I comportamenti !
Al momento della diagnosi e nei primi cinque anni della malattia è presente l’incredulità ad averla: “non è vero”.
Il “non è vero”, vissuta dai familiari e dai parkinsoniani, fa seguire la rabbia e l’angoscia che opprime le persone: “non la voglio”.
Il “non la voglio” fa nascere una rabbia che deve esplodere, uscire dalla persona, emozioni negative intense che molto spesso portano l’individuo ad essere poi triste, a non avere voglia di “niente”.
Sorge cosi’una profonda malinconia che si racchiude in una sola parola: depressione.
E, la depressione, fa perdere contro il parkinson, rende inerme la persona, incapace di reagire e di ritornare a vivere.

MALATTIA DI PARKINSON ? Vivere !
Generalmente le malattie gravi ci ricordano che non siamo immortali e che siamo destinati a morire. E’ noto che la malattia di Parkinson per se stessa non porta alla morte : si sa che toglie il sorriso ma non può spegnere la voglia di vivere e di amare.
Infatti molte sono ancora le “cose” che un malato di parkinson può fare per rendere migliore la propria qualità della vita all’interno dei contesti di vita.
Per poter raggiungere questo obiettivo è necessario superare il momento della depressione.
Superare la depressione significa prendere inizialmente atto della realtà della malattia cercando i modi migliori per convivere con essa senza farsi vincere dai suoi sintomi.
E’, in altre parole, una accettazione psicologica e sociale della malattia stessa ed accettare significa condividere sofferenze e limiti della persona senza però sostituirsi all’altro, senza provare solo pena e pietà.
In tal modo attraverso la disponibilità ad ascoltare, si insegna “all’altro” a parlare, ad esprimere il dolore, le emozioni e i sentimenti, un primo passo per dare fiducia, considerazione a chi pensa di “non essere” e di “non avere” potenzialità personali per uscire dalla sofferenza, dalla inutilità di “essere individuo” ancora socialmente ed affettivamente valido nella collettività.
A questo proposito mi riferisco non solo ai malati ma anche ai loro familiari, nonché a tutti gli operatori sociosanitari che seguono e affrontano indirettamente le complesse manifestazioni della malattia, operatori che insieme dovrebbero collaborare per rendere, a chi ne è protagonista, la vita migliore.
Ed è così che nel corso degli incontri si parla di parkinson, si affronta e si vince sulla malattia.