Per chi ha sperimentato sulla propria pelle la sofferenza della discordia, dei contrasti, dei conflitti, delle discussioni violente (tutto ciò che rappresenta il contrario di “pace”) e anche l’irrequietezza, l’inquietudine, lo scompiglio, l’ansia, l’angoscia, la paura di sentirsi mortificato e discriminato, diventa un impegno fondamentale della propria vita sostenere il valore e l’efficacia di comportamenti che tendono a limitare e/o contenere i danni della discordia, dell’ostilità e dei conflitti.
Sono anche convinto che, per coltivare la pace, debba essere necessario pure e soprattutto prendersi cura del nostro benessere fisico, psicologico e spirituale in ogni ambito delle nostre occupazioni.
Mi auguro che presto si reintroduca nell’uso del parlare corrente il riferimento all’elemento spirituale umano. Perché se si considera l’unicità della persona, con la sua storia e il suo patrimonio esclusivo e irripetibile di “esperienze” e valori individuali, diventa necessario riferirsi a un elemento spirituale individuale per ciascun essere umano.
Il dovere di ciascuno di noi è quello di lottare per conservare la nostra umanità, per dare un senso alla nostra vita e al nostro destino, a prescindere da razza, censo o religione. Quando viene a mancare questa nostra presenza attiva di vigilanza ed operosità tessente, la violenza (e naturalmente la guerra) si appropria di ogni parte della vita, la restringe, la rende più povera. Impedisce di lavorare, di avere una famiglia, di giocare, di amare. L’essere umano perde la sua specifica dignità e precipita in uno stato vegetativo con l’unica preoccupazione di procurarsi il cibo e mettersi al riparo, come fanno gli animali… Ciò non è umano.
Che la situazione sia veramente critica, questo lo può vedere chiunque abbia voglia e coraggio di guardare in faccia la realtà.
Se consideriamo i dati forniti dal Centro Europeo Ambiente e Salute dell’OMS, emerge una situazione mondiale che non può lasciare indifferenti.
– Nel 2000 sono stati uccisi nel mondo circa 199.000 giovani, pari a una media di 565 esseri umani tra i 10 e 29 anni che sono morti ogni giorno in seguito ad episodi di violenza interpersonale. Non trascurando il fatto che per ogni giovane ucciso, è rimasto ferito un numero compreso tra i 20 e i 40 .
– È stato stimato per quello stesso anno un numero di bambini pari a circa 57.000 vittime d’omicidio. I tassi maggiori d’infanticidio si sono registrati per i bambini tra 0 e 4 anni; che rappresentano un numero doppio rispetto a quelli di età compresa tra i 5 e i 14 anni.
– Una percentuale variabile tra il 40% e il 70% degli omicidi verso le donne, sono stati provocati dai partner. Spesso come atti conclusivi di un abuso perpetrato.
Un numero compreso tra il 10 e il 69% delle donne ha riferito di essere stato aggredito dal partner almeno una volta nella vita.
– Un dato complessivo riferito alla violenza sessuale registra che circa il 25% delle donne ha rischiato una violenza sessuale del partner.
Mentre un terzo delle adolescenti ha riferito di aver avuto la prima esperienza sessuale in maniera violenta.
– Gli studi allora disponibili sulla popolazione di anziani riportano che una percentuale compresa tra il 4 e il 6% di essi è stata vittima di qualche forma di abuso. Le cifre potrebbero essere più consistenti tenendo conto che spesso la morte degli anziani è stata attribuita a cause naturali, accidentali o indeterminate; mentre, effettivamente, potevano essere il risultato della violenza.
– Nel 2000 si è stimato che circa 815.000 suicidi nel mondo. Ciò significa che ogni 40 secondi una persona si è tolta la vita. Tenendo in considerazione l’età compresa tra 15 e 44 anni, è possibile stimare che il suicidio è la quarta causa di morte e la sesta causa d’invalidità e malattia.
– La violenza collettiva come la guerra, il terrorismo, il genocidio, la repressione armata, la tortura e il crimine organizzato, hanno prodotto complessivamente nel 2000 oltre 300.000 morti.
Si ritiene che le carestie insorte come conseguenza delle guerre abbiano ucciso 40 milioni di persone.

La drammaticità di questi dati, rischia di oscurare quella d’altri fatti meno eclatanti e più banali, ma allo stesso tempo ancora più inquietanti perché spesso sfuggono alla nostra attenzione. Penso allora alla capacità dei mass media di negare o alterare i fatti e di conseguenza al loro vasto potere di coartazione culturale.
Mi vengono in mente le guerre di condominio, che metaforicamente richiamano anche gli spazi di altri interessi comuni: prima liti e ripicche, poi offese e minacce; in un crescendo che spesso rischia di arrivare alla follia. Tutto ciò a causa di banali problemi di convivenza che potrebbero essere risolti con un comportamento più civile e rispettoso.
Non posso trascurare le migliaia di morti sulle strade. Nemmeno l’inutile esaltazione della competitività e della velocità, delle volgarità e degli sprechi che ci propongono le immagini pubblicitarie. Non posso rimanere insensibile di fronte alla dissennatezza con la quale si utilizzano le risorse della natura; e non parlo solo dell’acqua o dell’energia elettrica o dei boschi che restano inceneriti ogni anno (a proposito, mi sembra che per il momento abbiano fermato solo degli incendiari e non delle incendiarie).
Penso anche al cattivo uso delle risorse tipicamente umane, dei talenti, dell’enorme patrimonio d’intelligenza e creatività che si spreca o si rovina per mancate cure e soprattutto per mancanza di fiducia e d’incoraggiamento. Spesso si riflette, non solo nell’ambito della nostra religione, sul fatto che la fede stia diminuendo. Ma com’è possibile alimentare la fede in assenza di fiducia per l’umanità e quindi nella mancanza di rispetto verso l’elemento spirituale umano?
Ormai nella cultura influenzata dall’economia neoliberista, il concetto di “guerra” ha avuto un’estensione tale mai avuta in passato; la guerra è diventata praticamente una realtà civile normale e benefica “al servizio” o “a difesa” delle popolazioni, dei mercati, delle religioni, della cultura, ecc.
La competizione, il cinismo, la concorrenza “senza tregua”, il risultato ottenuto a svantaggio del concorrente, “facendo le scarpe” all’antagonista, mettendo quest’ultimo in condizioni di non nuocere, sta provocando effettivamente gli stessi effetti della guerra classica. Eccita i più bassi istinti degli uomini in posizione di potere, incitandoli alla megalomania, agli abusi e al tornaconto personale. Colpisce e marchia in modo pesante le persone più esposte e più deboli. Il risultato: diventa sempre più difficile vivere in un clima di positiva collaborazione.
Tutti sedotti dalla volontà di potenza, dimentichi che il “potere” ha un valore diverso, inconsapevoli che esso è già in noi come talento, come germe di salute costruttiva.
Pure il mondo dello sport, un tempo – ormai remoto – simulacro della salute individuale e sociale, del piacere dello stare insieme, manifesta il suo lato belluino. Lo scorso anno, il numero dei feriti negli stadi è aumentato del 260 per cento nelle prime tredici giornate del campionato di calcio di serie A (fonte Osservatorio nazionale di polizia). In concreto, il numero dei tifosi feriti è aumentato da 42 a 150, quello degli agenti feriti da 97 a 357. Inoltre, il numero di partite in cui si sono verificati incidenti è aumentato del 25%.
La guerra ormai la viviamo – chi più, chi meno – dentro di noi, nelle relazioni che abbiamo con gli altri e con noi stessi. Spesso nascondendo la sofferenza dietro lo stereotipo della parola “stress” rischiamo di non accorgerci dell’insostenibilità della nostra vita. Viviamo dentro una volgarità diffusa che sta stravolgendo la natura umana. Abbiamo da tempo superato il limite e non ce ne siamo accorti perché non abbiamo più un concetto definito di limite. Viviamo nell’ebbrezza del “no limits”.