Donare quia absurdum giovedì, Gen 10 2008 

IL DONO E’ SENZA PERCHE’
Barbara Spinelli
La Stampa, 23-12-2007

E’ naturale che giornali e televisioni si affollino, da molti giorni, di parole e immagini sul Natale che viene e in modo speciale sul rito associato da tempo immemoriale alla divina festa: parlo di quel che vien chiamato lo scambio dei doni. Vien chiamato così ed è già una stortura: perché nessun dono, se è dono, è accostabile allo scambiare, allo stipulare contratti, a un dare condizionato. È un evento che crea società stretta oltre che promiscuità privata, ma, come accade per l’uomo che in San Paolo vive presso Dio, il prodigare è della società e non della società, usa il mondo come se non l’usasse appieno. È qualcosa di misterioso, di estraneo a ogni mercanteggiare. È estraneo perfino alla fiducia, che è ingrediente cruciale del vivere comune. Non si regala a causa della fiducia, per il semplice motivo che il dono è senza perché. È come la rosa del mistico Angelus Silesius: «La rosa è senza un perché, ohne Warum; fiorisce perché fiorisce, non chiede conto di se stessa, non chiede se viene vista». Pulire le parole ed eliminarle se sbilenche o corruttrici è tra le attività più belle della mente, e guardando giornali e televisioni delle ultime settimane è purificazione indispensabile: tanto grande è la stortura che viviamo. Il culmine è stato raggiunto, secondo me, qualche giorno fa sul telegiornale di Raiuno, in un brioso servizio sui regali natalizi spiacevoli o infastidenti. L’ideatore del reportage voleva probabilmente esser spigliato, anticonformista, interessante, originale. È come avesse voluto trasmettere una sua verità sfrontata, rompere chissà quale tabù. «Adesso vi diciamo sui regali di Natale qualcosa che vi compiacerà. Qualcosa che in tanti pensate silenziosamente ma che io oso dire a voce alta: non tutti i regali sono graditi, anzi alcuni sono enormemente sgraditi». Seguiva un elenco di regali poco apprezzati perché noiosi, monotoni, ripetitivi: la sciarpa per esempio provocherebbe suprema noia e denoterebbe poca fantasia. Non ricordo l’intera lista: nella mente m’è restata impigliata la sciarpa. Ci sono regali in e altri out. A questo punto partiva una di quelle inchieste a caldo, con i passanti che dicono la loro sui regali scorretti che ricevono o che paventano: uno alzava gli occhi al cielo con tedio ammonitore; l’altro si riprometteva di scambiarli con doni meno banali, meno inutili; un altro ancora meditava di riciclare strenne e pensieri vendendoli online. Mi sono detta che le anime di queste persone erano come intirizzite, già morte. Come quel dannato – Branca Doria, traditore degli ospiti – che in Dante già è rovinato sotto la crudele crosta della morte nonostante sulla terra appaia ancora vivo, e mangi e beva e dorma e vesta panni. Il testo più luminoso sul dono a mio parere l’ha scritto Adorno, nel paragrafo 21 di Minima moralia. Vale la pena leggerlo, rileggerlo, e regalarlo perché questa sì è idea squisita. Perché parla della nostra capacità o incapacità di saper donare – oltre che di accogliere doni – e della sorpresa che è l’incontro con volti che durante l’anno ci son stati prossimi o meno prossimi. Persone che apprendiamo a guardare, che ci esercitiamo a ricordare: giacché ogni presente offerto oggi è un ricordo nel domani. Il donare infatti è qualcosa che si disimpara. Secondo lo scrittore è già disimparato e inesorabilmente entrato in decadenza a cominciare dal momento in cui sono apparsi quegli strani negozi – proliferano come i fast food – che sfoggiano all’ingresso l’insegna: «Articoli da Regalo». Gli Articoli da Regalo pensano al posto nostro il pensiero che non abbiamo: l’idea è che tu compri dieci articoli alla rinfusa e solo dopo ti figuri i destinatari. In realtà l’idea – meglio: la trovata – è escogitata per chi non sa assolutamente cosa regalare, essendo che non ha voglia di donare. Lo fa per necessità, per dovere. Il piacere è seppellito. Il donare autentico non ha nulla di necessario, anche se comporta una fatica che tuttavia arde benevola. Più è inutile, a volte, più è regale. Il vero regalare – così in Minima moralia – è provare felicità nell’immaginare la felicità di colui che riceverà. Significa scegliere, sprecare le ore nella scelta, dunque elucubrare, fantasticare sull’altro e su com’è fatto. In fondo significa regalare tempo, oltre a oggetti, e questo tempo sperperarlo. Significa uscire dal proprio tracciato, non concentrarsi su di sé ma pensare l’altro come soggetto, come fine anziché mezzo. Il donare contraddice e viola lo scambio. La frase più terribile è dire, quando si porge un pacchetto: «Questo regalo se vuoi lo puoi scambiare con qualsiasi altro di tuo gradimento». (Non meno tremende sono le liste-regali: tu metti i soldi in una sorta di vasca, e al resto pensano tutti tranne tu che pure potresti, magari vorresti. È la cancellazione del regalo). Deliziosa è la vecchia massima secondo cui a caval donato non si guarda in bocca. Ricordo mia madre che faceva disegnini di un cavallo con immense fauci spalancate: davanti a esse eravamo ritratti noi bambini che blasfemi scrutavamo-obiettavamo. Guardare dentro la bocca del cavallo è offensivo e mesto. Non sei sotto l’abete natalizio né a fianco della greppia sacra ma al mercato, con qualcuno che ti urla la sua proposta: «Non ti piace questo che t’ho dato? Prendi qualsiasi cosa purché il prezzo sia quello. Fai quel che vuoi tanto a me non importa nulla». Vero è che in questi casi il beneficiato ha almeno la possibilità di fare a se stesso un regalo. Ma la proposta resta agli antipodi del regalare. Il regalo, quale che sia, fa bene a chi lo riceve ma ne fa uno, immenso, anche a chi regala. Donare è una disposizione dell’animo cordiale, è un aprire incondizionatamente l’uscio all’altro. È un atto di fiducia ma nella sua gratuità l’oltrepassa. Chi non sa regalare o decide di non far più doni, anche senza volerlo è caduto preda del fluire del dono in scambio. Regalare è un aiuto a uscire dai recinti della propria interiorità, a fare vuoto dentro di sé per aprire spazi all’altro e alle cose per l’altro. Ogni relazione non deformata, ogni esperienza di riconciliazione nella vita organica, conclude Adorno, è un donare. Chi ne è incapace perché ragiona secondo logiche consequenziali diventa una cosa e si raggela. Il donare è un’esperienza eminentemente religiosa, se vissuto con profondità. Donare quia absurdum, come il credere, sfida la logica della conseguenza. Non è casuale che il più gran numero di regali s’accumuli il giorno della Natività di Gesù, in cui tutto è donare, è dare se stesso. Tutto, anche quel che lo circondò. Fu dono l’obbedienza di Giuseppe, che accolse la sposa ingravidata da Dio. Fu dono Giovanni Battista, che accettò di farsi piccolo perché Gesù fosse grande. Fu dono Maria: non c’è quasi dipinto in cui il suo viso non esprima l’indicibile tristezza del presentimento. Nel quadro di Lorenzo Lotto a Recanati addirittura fugge spaventata con un gatto, davanti all’angelo annunciante. Donare è un’esperienza religiosa perché è gesto assurdo. Non sappiamo cosa ne sarà, e però lo facciamo. Non sappiamo quanto durerà. È la rosa di Silesius. Nella sconvolgente lettera dalla prigionia, Ingrid Betancourt parla come nel salmo 23: «Vivo come morta. Non ho bisogno di nulla, e almeno son libera di desideri». Proprio questo le dà la forza di dire no ai carcerieri. Le dà la forza di pensare ai figli e all’unico libro cui ha diritto – la Bibbia – come un lusso e un dono.

Quale posto occupa nella mia vita giovedì, Gen 10 2008 

Quale posto occupa nella mia vita l’atto del “tessere la pace”?
Ho voluto esporre alcuni tra i molti elementi che si potrebbero considerare per avere la possibilità di pormi una domanda. In che modo dovrei tessere affinché la “pezza” che voglio utilizzare per un’eventuale riparazione, cura o manutenzione sociale sia effettivamente adeguata al bisogno che voglio incontrare?
Da parte mia dico: a partire dal rendermi conto, dal prendere coscienza della situazione. Diventando sempre più consapevole di ciò che sta accadendo in me e intorno a me, nelle mie relazioni all’interno della famiglia, del lavoro, della città e via dicendo … Rimanendo sveglio verso i miei comportamenti e destandomi di fronte a situazioni che di solito diventano drammi, guerre, tragedie, catastrofi solo quando sono amplificati dai mezzi di comunicazione.
Certamente potrò fare qualcosa cominciando da me: dalla stima, dal rispetto, dall’immagine che mi riconosco, dal mio potere personale; dalla mia capacità di mettermi in discussione e dalla voglia di cambiare. Credo che solo da questo momento in poi possa veramente incontrare l’altro; fedele al detto evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso”. Ecco perché prima ho parlato di benessere; non intendevo un mero edonismo quanto un attivo interesse morale individuale; una sensibilità etica per contrastare l’inumano che dilaga. Uno stare bene inteso come “responsabilità del bene”. Farsi carico, prender cura e prendere a cuore lo stare bene insieme e naturalmente rimanere desti di fronte al “limite” delle proprie azioni.
Sto cercando nella mia vita di mantenermi fedele a un impegno che ho preso a partire dalla mia esperienza. Imparare dagli insuccessi, provare ancora ma in modo “diverso”; cercare altre strade, altri punti di vista, studiare altre situazioni e poi … Osare. In fondo ciascuno di noi lo ha imparato da piccoli. Forse ci verrà in mente osservando la crescita di un bambino, il suo imparare a camminare, il suo parlare …
Fare in modo che gli insuccessi diventino un esercizio, un’occasione per accrescere le nostre capacità, un’opportunità di formazione continua. È proprio per questo che preferisco parlare di “limiti” e non di “sbagli” o “errori”. È la consapevolezza del limite che mi porta ad essere diverso, quando “cambio” nella prospettiva di quella frase detta all’inizio: “Fratturare quello che siamo diventati per divenire possibilità svelate”. Mettersi in discussione quindi ma rispettare i limiti personali; è anche un buon mezzo per apprendere a dosare il mio coinvolgimento e la mia implicazione; perché ignorarli molto spesso mi porta a imbarcarmi in situazioni che non desidero vivere o alle quali sono incapace di far fronte.
Ho imparato strada facendo e, con tappe diverse, sono giunto ad affinare la mia esperienza; con lo studio e soprattutto attraverso un processo di cambiamento personale che oggi guida la mia pratica professionale.
Dico allora che il “tessere la pace” si manifesta nella mia esistenza di uomo, di padre, marito, amico, nei momenti in cui sono attento ai rapporti che sto vivendo, sono capace di accettare incondizionatamente le persone che stanno con me, riesco ad agire congruentemente con i miei principi morali, sono capace di entrare in risonanza empatica con gli altri, capace di mettermi nei loro panni. Verifico il successo dei miei comportamenti quando sto bene con me stesso e stiamo bene insieme; quando c’è soddisfazione e felicità. Siamo in pace. Non è facile così come lo dico!
Nella mia attività professionale mi trovo più avvantaggiato perché mi costringo ad essere più attento, a non assopirmi o distrarmi – cosa che talvolta accade nei rapporti della consuetudine familiare, dove si manifesta di più la debolezza legata alla pigrizia e alla stanchezza.
In un caso o nell’altro, ritengo che la pace debba essere coltivata soprattutto all’interno delle relazioni umane. Nella mia attività professionale ho concentrato l’attenzione sul disagio psicologico considerandolo soprattutto come risultante di uno squilibrio socio ambientale.
Sostengo da tempo, con particolare enfasi, una necessaria formazione individuale di “igiene sociale”; perché ritengo che la cura del disagio e del disadattamento richieda un intervento di tipo “ecologico”, di riequilibrio del rapporto tra l’ambiente e l’essere umano, del rispetto profondo e incondizionato della differenza di ciascun individuo nei confronti dell’altro.
Da questi presupposti è cresciuto nel tempo l’impegno nel campo dell’apprendimento delle persone adulte, attraverso la proposta e l’attivazione di corsi di sensibilizzazione e formazione (genitori efficaci, mediazione dei conflitti, apprendimento alla cooperazione, alla relazione d’aiuto; nonché interventi d’orientamento e supervisione per organizzazioni e gruppi di lavoro a vario livello) che privilegiano in modo particolare quello che io chiamo “la manutenzione delle risorse umane”. Convinto che la fondamentale risorsa dell’umanità sia racchiusa nell’instaurare relazioni interpersonali propositive.
Allo stesso tempo mi dedico all’agevolazione della salute psicologica e del benessere delle persone attraverso due attività avviate già da alcuni anni. Una si chiama “Diversa Mente”, per la cura e l’aiuto centrati sulle persone e le famiglie nel corso di eventi critici del loro ciclo di vita; si tratta d’interventi che valorizzano le risorse dei singoli e delle famiglie che si trovano ad affrontare i problemi connessi ad eventi critici del proprio ciclo di vita; nonché in quei casi in cui si è esposti a situazioni particolarmente drammatiche e/o violente ed è facile subire le conseguenze di forti traumi
L’altra é “ Elpore th. – Psicologia delle risorse umane nelle dinamiche organizzative ” che propone interventi di orientamento, assessment , valorizzazione e formazione delle competenze individuali e socio organizzative, facilitazione del clima relazionale, gestione dello stress in “stati limite d’esercizio” delle persone e delle organizzazioni.
Mi piace considerarmi soprattutto un artigiano della manutenzione e della cura piuttosto che un uomo di scienza, sono felice di immergermi completamente nel mio lavoro e crescere insieme agli altri. Apprendo continuamente dalle persone con le quali lavoro e ringrazio loro per quanto continuano a darmi.